
Qual è la cosa più difficile che hai dovuto scrivere nel tuo libro?
Concepirlo come una serie di cartoline dipinte con i piedi. Qualcuno mi aveva chiamato scrittore che non sa riconoscere le metafore. Lo aveva detto in modo sarcastico: uno spunto ideale per scrivere capitoli pieni di metafore chiarissime.
Hai mai vissuto il blocco dello scrittore? Come lo affronti?
Se l’ho vissuto è stato perché avevo di meglio da fare. Semmai sono un narratore, ho i miei trucchi: per esempio, narro qualcosa su Facebook partendo da un’immagine e in poche battute come in un tweet. Per me Facebook è un diario e una palestra.
Quando inizi a scrivere, hai già una visione chiara della trama o segui l’ispirazione del momento?
Dipende da che storia è. Se è una storia su vicende realmente accadute, la trama è chiara in partenza anche se l’intreccio no. Se è una storia tutta fantastica, neppure la inizio. Non sarei capace di scriverla e neppure di montarla.
Come affronti il momento in cui una storia che hai scritto giunge alla fine?
Non lo affronto, la storia di un romanzo in realtà non giunge mai alla fine. Il finale non è mai certo come l’incipit, perché magari a metà strada cambi idea, e a tre quarti pure. Mentre l’explicit non cambia mai.
C’è un libro in cui vorresti “vivere”?
L’Odissea. Non si sa chi l’ha scritta. Poi, perché adoro il mare, un tempo mi ci immergevo. Terzo, perché l’eroe torna a casa, mentre dal mare non è certo che si riemerga. Infine, perché ci sono ‘storie d’amore’ diverse, e il meglio è questo.