“La confraternita dell’uva”: Fante è vero e autentico e tocca il cuore

a cura di Federica Sgubbi – Traduttrice

La mia ultima lettura agostana, fatta proprio in Abruzzo, la terra di origine di Fante e di metà della mia famiglia. Un altro libro meraviglioso, dai toni pacati, ironici e schietti che accomunano tutti i romanzi che ho letto di questo autore. Parlando di Fante, forse mi sono sempre soffermata poco sullo stile, sulle qualità dell’autore e sul valore delle sue opere da un punto di vista strettamente letterario. Il fatto è che con John ho stretto fin da subito un legame che va al di là delle parole ben scritte e delle storie ben raccontate, un legame di cuore. Questo libro, un po’ come tutti gli altri, mi ha riportato alla memoria i miei nonni abruzzesi, scene vissute, sentimenti condivisi, luoghi e odori. Ho rivisto il caratteraccio della mia di nonna, che la povertà aveva reso dura, cocciuta, temeraria, che non aveva paura di niente, un vero e proprio caterpillar. Anche io la immaginavo immortale, dopo tutto quello che le era capitato e che lei aveva preso a cornate, credevo che niente l’avrebbe avuta vinta su di lei. Mi sono chiesta se il mio nonno montanaro, di cui ricordo solo la pelle a quadrettini, le mani rovinate e il cappello che portava sempre e comunque, sarebbe stato come il padre di Fante, se sarebbe davvero riuscito a mettere i piedi in testa a mia nonna (non credo proprio) e mi sarebbe piaciuto ascoltare le sue storie su quella terra che ho visitato troppo poco. Ho cercato di rivivere alcuni momenti che nell’attimo non sembrano importanti e se ne capisce solo dopo il valore. Ho chiuso gli occhi e ho cercato di dare vita ai ricordi sfocati.
Quindi insomma, che Fante scrive bene lo lascio dire agli altri. Io mi limito a dire che tocca il cuore, che è vero e autentico, che non mi stancherei mai di leggere le sue storie perché grazie alla sua capacità di ordinare bene pensieri e parole riesco a rivivere un po’ anche la mia e quella che purtroppo non c’è stato tempo di condividere.

“Era un montanaro venuto dall’Abruzzo, un nasone dalle mani grosse, basso (uno e sessanta), largo come una porta, nato in una parte d’Italia in cui la miseria era spettacolare quanto i ghiacciai circostanti e dove qualunque bambino che fosse riuscito a sopravvivere per i primi cinque anni ne avrebbe campati ottantacinque. Logicamente, non molti riuscivano a compiere cinque anni. Di tredici che ne erano, restavano soltanto lui e mia zia Pepina, che ne aveva ottanta e abitava a Denver. La sua durezza, mio padre l’aveva ereditata da quel modo di vivere. Pane e cipolle, si vantava, pane e cipolle: che altro serve a un uomo? Ecco perché per tutta la mia vita ho provato ripugnanza per pane e cipolle. Lui era qualcosa di più che il capofamiglia. Era giudice, giuria e carnefice, Geova in persona.”

John Fante, La confraternita dell’uva 
Einaudi Editore (traduzione di Francesco Durante)

“Lo stato dei miei capelli in Oriente”: un romanzo che sprizza una vitalità contagiosa e necessaria

dalla redazione di Librinellaria.org

Un periodo a noi vicino, ma inesorabilmente distante dall’oggi, quando internet era un miraggio e i voli costavano un occhio della testa. Un viaggio in Thailandia era, di conseguenza, Il Viaggio, quello maiuscolo, quello che cambia l’esistenza, che urla al mondo l’urgenza di vita, di conoscenza. La voglia di rompere gli schemi. Il desiderio di arrendersi, di lasciarsi vivere, succeda quel che succede.

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21 settembre 2020: 14 anni di Giovane Holden Edizioni

a cura della casa editrice Giovane Holden Edizioni

Nello splendido scenario del Caffè Liberty di Viareggio, 14 anni fa si è tenuta ufficialmente l’inaugurazione della Giovane Holden Edizioni nata da una pazza idea di Miranda Biondi e Marco Palagi, frutto di una forte passione per la letteratura.

È stata una grande festa per tutti noi perché si apriva un percorso di gran lavoro e grande soddisfazioni che ci hanno portato fino a oggi, pubblicando 1000 titoli, organizzando centinaia di presentazioni e vendendo migliaia e migliaia di copie in tutta Italia.

Lungo questo percorso – che ci auguriamo essere solo all’inizio – abbiamo inoltre organizzato il Premio Letterario Nazionale Giovane Holden (di cui si è conclusa sabato scorso la XIV edizione), il Premio Letterario Nazionale Streghe Vampiri & Co. (iscrizioni in corso che si concluderanno il 15 ottobre) e il Premio Letterario Nazionale Bukowski, in collaborazione con l’Associazione culturale I soliti ignoti.

Durante l’inaugurazione di quel 21 settembre 2006 tanti amici sono intervenuti con noi sul palco, a partire da Stefano Pasquinucci, Manuela Bollani e la celebre scrittrice Federica Bosco.

Inoltre presentammo ufficialmente il primo volume pubblicato che altro non era che un coraggioso esperimento di pubblicazione di un blog personale, quello di Marco Palagi.

E oggi, a distanza di 14 anni, torniamo alle origini con un blog multiculturale che non non è solo il blog-passerella per i titoli e le iniziative della casa editrice, però. Piuttosto uno spazio indipendente in cui sia possibile raccontare l’universo Libro in modo accattivante contaminandolo con musica, arte, news e qualche stravaganza; esattamente come la fortunata trasmissione radiofonica andata in onda sulle frequenze di Radio Versilia qualche anno fa e da cui prende il nome.
Un blog per parlare di libri anche a coloro che di libri non frequentano molto.

Quindi, inserite il blog tra i preferiti del vostro browser e seguiteci sui canali social, sia Facebook sia Instagram e se volete potete pure collaborare, seguendo tutte le indicazioni presenti a questa pagina.

Qua sotto, se volete essere un po’ nostalgici come la ricorrenza richiede, trovate il video completo dell’inaugurazione.

Tanti auguri
Giovane Holden Edizioni!!!

“Ultimo piano (o Porno Totale)”: un romanzo carico di erotismo non esplicito, di filosofia e satira

a cura di Marco Palagi

È il primo libro di Francesco D’isa che leggo, lo conoscevo attraverso le sue opere psichedeliche, quelle illustrazioni oniriche che lo rappresentano e anche in questo libro possiamo vedere il suo talento visionario sulla copertina, i suoi colori accesi e la particolare geometria delle sue forme.
Sono rimasto particolarmente colpito da questo romanzo, non sapevo cosa aspettarmi, se una storia principalmente grottesca, se qualcosa di surreale. In realtà ho trovato una narrazione scorrevole, dialoghi accesi, vibranti, personaggi tutt’altro che fuori dalle righe. Forse un po’ grotteschi come grottesca può rivelarsi la storia in alcuni punti, ma niente di esagerato, tutto misurato e costruito prettamente ai fini della narrazione.
Il sottotitolo può fuorviare a un primo approccio, potremmo immaginarci di entrare in un club a luci rosse dove neon baluginanti e tappezzeria di broccato o pali di lustrini compongono l’arredamento… in realtà, in un certo modo, troviamo anche questo perché tutto il romanzo è ambientato all’interno di un palazzo, “il palazzo del potere pornografico” lo chiamerei, dove c’è un padrone non solo dello stabile ma anche dell’intera pornografia che rappresenta, un “uomo orrendo, grasso, flaccido, col naso a patata e la bocca sottile”. E sotto di lui tanti sudditi che vanno dagli attori e attrici porno fino ai tecnici e alla più bassa specie di essere umano, ladro e ricattatore.
Non troverete dialoghi o situazioni volgari, ovviamente si parla di pornografia, ovviamente è messo in scena il sesso, come dice l’autore nel testo “la pornografia mette in scena il desiderio e di conseguenza il porno per eccellenza deve soddisfarlo”, ma riesce a parlare di questa “soddisfazione” senza raccontare scene particolarmente esplicite, rimanendo “pulito” molto più di quanto i recenti romanzi di genere ci abbiano abituato.
La storia è molto semplice: un fratello e una sorella, entrambi di nome Claude, lavorano nell’industria pornografica, alle dipendenze di Frank Spiegelmann, quell’uomo orrendo di cui sopra nonché narratore e deus ex machina dell’intera storia. Claude maschio fa il regista, Claude femmina l’attrice. Il romanzo, oltre a raccontare l’ascesa al successo di entrambi, ci accompagna nella creazione e nello svelamento di un film, il “porno totale” del sottotitolo, dalle incredibili proprietà.
“Ultimo piano” (edizioni Imprimatur) è un romanzo carico di erotismo non esplicito, di filosofia e satira, un romanzo che permette al lettore di scandagliare l’animo e la mente umana di figure così lontane alla nostra vita, ma così vicine ai nostri desideri e appetiti più nascosti. Francesco D’Isa è un artista veramente completo, dopo aver terminato questo libro possiamo solo augurarci che ne scriva presto un altro.

“The White Album”: Joan Didion indaga e scruta nei meandri più nascosti della cultura, degli idoli, della vita di tutti i giorni

a cura di Marco Palagi

Aspettavo di leggere questo libro da tempo, dopo averlo letto in versione originale qualche anno fa, perché appassionato e curioso di (ri)leggere della California e di quell’America degli anni ’60 e ’70 che tanto amo e dalla quale provengono alcuni dei più grandi narratori del ventesimo secolo.
Il Saggiatore finalmente fa uscire la versione italiana di questo reportage giornalistico della celebre Joan Didion, la quale indaga e scruta nei meandri più nascosti della cultura, degli idoli, della vita di tutti i giorni di un’America nel pieno di grandi cambiamenti. Si parla di pittura, grazie a Georgia O’Keeffe, di politica e di organizzazioni criminali afroamericane, come quella delle Black Panther, Le Pantere Nere, di acqua, dove va l’acqua del suo rubinetto, quanta acqua la diga di Hoover e gli acquedotti Californiani riescono a movimentare ogni giorno per accogliere le richieste della massa… È un bel viaggio, quello della Didion, lungo le strade americane alla ricerca di quelle verità che l’autrice ha rincorso per tutta la vita, fin da quando da bambina si faceva la strada a piedi verso la scuola per ammirare, affascinata, le serre di fiori desiderando ardentemente di entrare dentro una di esse. Si parla di centri commerciali, di tournee letterarie e di “Giorni sereni a Malibu” o alle Hawaii.
“The White Album”, nella sua versione originale, è stato pubblicato nel 1979 e la maggior parte del materiale presente all’interno del libro appartiene agli anni ’70, ma nonostante ciò troviamo ottimi pezzi dell’ultima parte, importante, degli anni ’60, come quello nel quale parla di bike movies oppure dei terribili mal di testa che la affliggono dall’età di otto anni.
Lo stile di Didion è molto forte in questo volume, ricco di profonde e dettagliate osservazioni, scritto con cura, personale senza essere confessionale, ma nello stesso tempo professionale. In molti non digeriscono i saggi della Didion, ma questo libro permetterebbe ai più scettivi e ostili, verso la sua scrittura, a ricredersi e affidarsi alle coste Californiane.

“Quando all’alba saremo vicini”: un libro autentico sulla paura di essere accettati

a cura di Marco Palagi

Che cosa posso dire di Kristin Harmel, tranne il fatto che è proprio una brava scrittrice? È molto raro sentire una tale connessione con un libro, e questo è uno di quei casi.
Il personaggio principale, Kate, non ha vita facile. Soffre molto la tragedia e tristezza della perdita del marito, scomparso dieci anni prima. Come biasimarla. Ma non aspettatevi banali cliché sulla perdita, l’accettazione, e l’andare avanti. Harmel fa un grande lavoro mostrando come la vita disordinata può rivelarsi e come a volte, non importa quanto tempo è passato da una perdita enorme come quella di Kate, non è ancora possibile andare avanti nonostante ci si sforzi e si abbiano accanto persone disposte ad aiutarti. Questa storia è straziante a volte, soprattutto per chi ha perso qualcuno o che si era immaginato una vita diversa da quella che poi ha in realtà.
La parte migliore di questo libro, oltre all’osservare e sostenere virtualmente il viaggio di Kate ad accettare i suoi sogni – come una realtà alternativa di ciò che la sua vita avrebbe potuto essere e come un messaggio dal suo defunto marito – risulta essere quella relativa alla ricerca che Harmel ha sicuramente fatto, scrivendo il libro, per assicurarsi che la sua descrizione del Sistema di affidamento newyorkese fosse autentico. Traspare davvero molta autenticità nelle sue parole, non si è mai vittime di costruzioni noiose o banali, la narrazione scorre fluida e senza orpelli linguistici né tantomeno di scene strappalacrime. Ma ci si commuove ugualmente. Harmel ha fatto un gran lavoro per spiegare i processi dell’adozione, il modo in cui i genitori passano attraverso il loro essere accettati nel sistema, la paura e la voglia di conoscere i ragazzi che hanno bisogno di una casa, e la ricompensa che ne scaturisce nell’aiutarli a sentirsi parte di una nuova famiglia. Complimenti, Harmel si conferma una scrittrice coi fiocchi che non ha niente da invidiare a colleghi più blasonati.

“Florence Gordon”: un libro ricco di malinconia, dolcezza, coraggio

a cura di Marco Palagi

In tanti hanno paragonato Florence Gordon, il romanzo di Brian Morton, alla cinematografia di Woody Allen, un po’ per l’ambientazione newyorchese e un po’ per l’humour che si respira nella grande mela ma anche nelle pellicole del regista. Ma questo romanzo va oltre, non possiamo etichettarlo così facilmente e qua stiamo parlando di letteratura e i criteri di valutazione devono, e sono, differenti, sebbene i livelli siano in entrambi i casi molto alti.
Innanzitutto possiamo dire cosa non è questo romanzo: non è una commedia su una tipica saga familiare, sebbene ne abbia alcuni elementi. Presenta sì le vicende di quattro protagonisti imparentati, ma le loro storie e vicissitudini scorrono su strade indipendenti, a volte incrociandosi ma evolvendosi in autonomia. I personaggi hanno una caratterizzazione molto accurata e questo è uno dei punti di forza del romanzo. Cominciando con Florence Gordon, scrittrice, saggista, donna che ha vissuto e combattuto le lotte degli anni settanta, che supera i settanta di età ma nella sua critica alle tecnologie moderne comunque utilizza il computer per scrivere. Testarda, caparbia, eccentrica, con la battuta acida sempre pronta ma mai superba, poco inclina ai rapporti interpersonali, Florence incarna un’eroina dei suoi tempi, la donna indipendente che non ha bisogno dell’uomo per sentirsi forte e non accetta di essere debole. Lei vorrebbe solo scrivere ed essere lasciata in pace, è esattamente il tipo di donna che vorresti come amica e nello stesso tempo non la vorresti come amica.
Poi troviamo il figlio Daniel, di professione poliziotto a Seattle che passa un po’ di tempo a New York, uomo dal carattere molto differente dalla madre, pauroso di fronte alle difficoltà e a raccontare certe verità alla moglie Janice e alla figlia Emily. Quest’ultima instaura un rapporto personale con Florence, facendole da assistente ricercatrice, forse l’unica a vedere la vera donna dietro quella scorza dura che la riveste e protegge? In fondo è solo un’adolescente con tutti i turbamenti di quell’età, ma ha la capacità di relazionarsi con Florence in modi che nessuno della sua famiglia è mai riuscito prima. E Janice, psicologa, che idealizza Florence, si ritroverà invischiata un una situazione molto particolare che minaccerà il suo rapporto con Daniel. Come dicevo le vite dei protagonisti scorrono su binari differenti e spesso sperimentano e trasmettono al lettore un urgente e viscerale bisogno di condividere le loro esperienze l’uno con l’altro, essere rassicurati, aiutati, sopportati, ci riusciranno?
Morton riesce a trasmettere forte empatia al lettore, sebbene il romanzo sia narrato in terza persona riusciamo a identificarci con i protagonisti, a soffrire con loro, a incitarli, a volte a odiarli ma in un modo affettuoso. Malinconia, dolcezza, coraggio, sono alcuni dei sentimenti che quest’opera trasmette e ti trascina pagina dopo pagina fino alla fine. 

“Le notti dell’alchimista”: Tutto ha inizio in una fresca sera d’estate di fine sedicesimo secolo…

dalla redazione di Septem Literary

La prima cosa che ho fatto, quando ho iniziato a leggere questo libro, è stata cercare informazioni sul protagonista del romanzo, l’alchimista Girolamo Chiaramonte, personaggio realmente esistito, nato in Sicilia nel XVI sec. e trasferitosi successivamente a Napoli. In realtà ho trovato pochissime notizie, di lui si sa solamente che inventò un misterioso elisir con il quale compì per anni, incredibili guarigioni e le sue cure sono state documentate da medici, nobili, autorità varie, e pare funzionasse davvero!
Come spiegato nei suoi trattati e nei documenti d’epoca, il suo ritrovato era una mistura di quattro ingredienti segreti, di natura minerale, che chiamò Belzuar, con il nome di pietre magiche delle leggende, che guarivano da ogni male. Nel 1618 Chiaramonte ebbe il permesso dalle autorità messinesi di somministrare pubblicamente il suo farmaco, guarendo moltissime persone.
Dopo la sua morte, Girolamo Chiaramonte venne dimenticato e nessuno sentì più parlare del Belzuar…

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Valeria Cipolli e la voglia di esplorare l’animo umano

dalla redazione di Telegiornaliste.com – a cura di Tiziana Cazziero

Ciao Valeria e grazie per il tuo tempo. Parlaci di te, quando ti sei avvicinata alla tua arte?
«Ho un’indole artistica da quando ne ho memoria ma ho trovato un mio stile e una mia sintesi personale, un modo di fare arte che mi caratterizza, come spesso accade, in un periodo difficile della mia vita quando come per compensazione, quasi a voler far luce nel buio che stavo vivendo sono arrivate le donne bianche dei miei quadri, che ho soprannominato Fanusie prendendo in prestito la parola greca fanòs che significa luminoso. Sono state provvidenziali e ancora oggi sono rimaste protagoniste dei miei dipinti».
[…]

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