25 novembre 2022: Giovane Holden contro la violenza sulle donne

Giovane Holden Edizioni si schiera tenacemente contro la violenza di genere in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre. E questa volta lo fa attraverso l’installazione, di fronte alla sede della casa editrice viareggina, in via Ciabattini 91b a Viareggio, di una panchina rossa per ribadire vigorosamente il no alle prevaricazioni di genere. Simbolo fisico e permanente, la panchina rossa si propone come mezzo per diffondere consapevolezza attorno alle piaghe della violenza in tutte le sue declinazioni ma anche come propulsore di un impegno costante per aiutare le donne a rompere le spesse mura del silenzio e della paura. Un richiamo tangibile indirizzato all’intera comunità.

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Giovane Holden Edizioni installa una Panchina Rossa contro la violenza sulle donne

In questa del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, a Viareggio (Lu) in via Ciabattini, 91/b davanti alla nostra sede è stata installata una Panchina Rossa per ribadire con forza il no alla violenza sulle donne, ricordando che i diritti si difendono tutti i giorni.

Giovane Holden è da anni impegnata in attività di contrasto alla violenza di genere, anche attraverso la campagna di sensibilizzazione: Woman. No more silence. Trust yourself. Tra le ultime iniziative, ricordiamo quella del Salone del libro di Torino dell’ottobre 2021 (che ha avuto un importante riscontro su tutti i canali social e i visitatori del Salone, nonché un servizio su Radio Rai 3) e la campagna social che ha come protagonisti gli scrittori pubblicati con Giovane Holden Edizioni: Io non sto zittə, e tu?

A partire dal 1999, quando le Nazioni Unite istituirono la ricorrenza del 25 novembre, molte iniziative sono state intraprese in tutto il mondo, alcune delle quali hanno dato vita a istallazioni-simbolo che sono state adottate in tanti paesi. Fra queste si ricorda l’istallazione pubblica dell’artista Elina Chauvet che nel 2012 ha posto un gran numero di scarpe da donna rosse sul sagrato antistante l’ambasciata del Messico in Texas per ricordare le centinaia di connazionali uccise a Ciudad Juarez. Un altro simbolo del contrasto alla violenza alle donne è la panchina rossa, appunto, lanciata dagli Stati Generali delle Donne per dare voce alle azioni di contrasto intraprese contro la violenza.

Una Panchina Rossa è simbolo fisico per diffondere consapevolezza e sensibilizzare sulla piaga sociale della violenza di genere, domestica, psicologica, sullo stalking e sul femminicidio e dare segni tangibili di un impegno quotidiano, che duri tutto l’anno, volto ad aiutare le donne che subiscono violenza a uscire dal silenzio, con la loro forza, e con l’aiuto di tutta una comunità.

Catabasi (Ai margini di “Euridice per sempre”)

a cura dello scrittore Gaetano Cinque

Quando decisi di dedicarmi al mito di Orfeo ed Euridice per il mio romanzo, subito mi si pose il problema della rappresentazione del mondo degli Inferi e del viaggio di un vivo tra i morti.
Certo avevo dietro di me illustri predecessori, in particolare Omero, Virgilio e Dante. Lontano da me ogni velleità di gareggiare con giganti della letteratura, però non potevo prescindere dai loro versi.
In più avevo dalla mia parte un vantaggio, rappresentato dagli studi novecenteschi della psicanalisi.
Intanto il mondo dell’aldilà che mi andavo prefigurando doveva mantenere una dimensione psichica, nel senso che la rappresentazione esterna, cioè la geografia e la topografia degli Inferi, avrebbe sì avuto una sua oggettività, ma questa si sarebbe svolta con una soggettività tutta intima di chi stava affrontando il viaggio (e quindi anche mia come autore).
Orfeo avrebbe percorso i luoghi consolidati dalla tradizione mitologica, a partire dall’Averno (che conosco personalmente, avendo vissuto molti anni della mia giovinezza in terra flegrea), considerando i fiumi infernali, i Campi Elisi e così via.
Ma di fronte alla oggettività dei paesaggi mi sono immaginato la soggettività di un vivo che si vede avviato sul sentiero della morte. Quindi mi sono impegnato nella descrizione delle sensazioni che si possono provare: il freddo, il silenzio, la fine del tempo, il nulla.
Poi mi sono confrontato con l’aldilà della immaginazione mitologica.
Il regno di Ade è diviso in due mondi: il primo della vendetta e della punizione fisica, il Tartaro, il secondo quello dei Campi Elisi che accoglie le anime amate dagli dèi. Un mondo di beatitudine, dove il senso è sostituito dal piacere sentimentale.
L’aspetto più stimolante della mia ispirazione narrativa è stato quello di dare una risposta da vivo a ciò che si presenta come specificità della morte, a significare che mai sarà possibile avere effettiva coscienza della morte, perché quando si è da lei travolti non c’è più dimensione vitale che possa essere raccontata.
Questa immersione in un mondo che non c’è, può solo essere favorita da immaginazione poetica e musicale.
In fondo la musica della lira superba di Orfeo non fa altro che aprire attraverso forti emozioni i cuori di chi vuole andare oltre e immaginare l’inimmaginabile.
E così ho vissuto il mito di un uomo che può permettersi qualcosa di indicibile grazie alla sua forza emotiva prodotta dal suo credo poetico e musicale.
Quindi più che convincere gli dèi degli Inferi, la sua musica convince il suo cuore e gli permette di raggiungere la sua amata, che è tutta dentro il suo mondo interiore, a tal punto che, arrivato al termine del suo viaggio impossibile, può dire che ha con sé Euridice, ovvero il profilo della sua anima, perché è solo quella che può realisticamente conquistare.
Infine ho voluto proiettare anche nella condizione della morte alcune essenze, per me fondamentali, che sono proprie degli uomini vivi: quelle relative al ricordare e quelle destinate a provare per i simili pietà e solidarietà.
L’anima di Euridice che non vuole bagnarsi nel fiume Lete per non dimenticare il suo amato quando la raggiungerà dopo la sua morte e Orfeo che con la sua musica vede lenire le sofferenze del Tartaro, per cui intende continuare a diffondere questo sollievo anche se Hermes gli dice che non serve perché a breve tutto torna nel tormento.

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De senectute. Riflessione sulla vecchiaia grazie al romanzo “Susanna e i vecchioni”

a cura dello scrittore Gaetano Cinque

Parlare della terza età non è facile, ed oggi più che mai. E poi in questi tempi di pandemia, quando i più colpiti sono proprio gli anziani, i vecchi.
Intanto il termine che si usa: il vecchio, il vecchione in termini spregiativi sul piano morale.
Poi per mitigare utilizziamo anziano, oppure in maniera più generica quelli della terza età.
Mi piace il termine che si usa in spagnolo: mayor, mayores.
In latino si usa senex, che vuol dire sempre vecchio, contrapposto a iuvenis, giovane; in greco antico présbus, colui che va avanti.
Provo a parlare di vecchiaia attraverso dei passi estratti da un mio libro pubblicato da Giovane Holden Edizioni nel 2020 Susanna e i vecchioni, una raccolta di sei racconti in cui risulta preponderante il tema della vecchiaia.
Cominciamo con la difesa che fa della vecchiaia uno dei due vecchioni del passo biblico dell’Antico Testamento (Daniele, 13) accusati di malvagità per l’offesa arrecata alla giovane Susanna. Il passo è stato da me reinterpretato allontanandosi dalla versione di severa condanna, ponendo l’attenzione su altri aspetti della vicenda, riferiti proprio alla vecchiaia.

È Misaele che intende perorare per primo il loro punto di vista.
“Noi non siamo né rimbambiti né malvagi. Noi vogliamo semplicemente affermare la dignità dei vecchi. I vecchi, chiamati vecchioni con una forte accezione negativa, dovrebbero far capire che anche loro hanno dei diritti a prescindere dall’età. Non è giusto pensare che essere vecchi significhi perdere sensibilità, piaceri, gusti. Essere vecchi non è l’anticamera della morte. Essere vecchi è come per tutti una condizione di vita con pari diritti e dignità. Siamo stufi di essere considerati soltanto per una improbabile saggezza e ponderatezza. Questi ultimi sono elementi che non sono legati all’età. Una volta adulta una persona si caratterizza per tutto quello che è. Vogliamo rompere schemi e ipocrisie. Abbiamo ancora diritto di godere della vita!”
Qui subentra Azaria, che rimarca quest’ultima considerazione: “L’esplosione dei sensi ci appartiene. Anche noi vecchioni abbiamo diritto al godimento dei sensi. La nostra moralità consiste nel non reprimere ciò che dio ci dà. Susanna è l’immagine di una bellezza che appartiene a tutti, e non solo ai giovani!”

* pag. 40

I due vecchioni, per intercessione della stessa Susanna, non vengono più condannati alla pena capitale, ma sarà loro assegnata una punizione che di fatto li costringe a restare dentro i lacci e le sofferenze che riguardano la vecchiaia. Cioè la loro punizione consiste nella costrizione della loro condizione.

Daniele, com’è nel suo stile, vuole essere equilibrato, magnanimo, nel risponderle, però sempre ribadendo quelli che sono i capisaldi di una comunità civile.
“Va bene, Susanna, tu vuoi perdonare, il tuo nobile animo ti spinge a ciò. Ti voglio accontentare. Ma sia ben chiaro, e i giudici lo decreteranno in maniera definitiva, che i due vecchioni saranno risparmiati da una giusta morte, ma non solo non diventeranno mai giudici del popolo, ma saranno privati di ogni considerazione all’interno della nostra società, e vivranno gli aspetti più deteriori della vecchiaia, la solitudine e il vuoto vitale. La vecchiaia per loro sarà veramente l’anticamera della morte e non avranno alcun respiro di salvezza. Privi di ogni piacere dei sensi, si tormenteranno nella loro senescenza più tenebrosa, avendo rinunciato a quelli che sono i valori dell’età avanzata: saggezza, equilibrio, onestà. La loro vergognosa lussuria sarà così punita, e si renderanno conto che la sfrenatezza dei sensi è sempre condannabile e, anche se talvolta è tollerata in un giovane, per dei vecchioni è qualcosa di abominevole. Dopo la sentenza dei giudici, Misaele e Azaria saranno affidati ai loro familiari e conoscenti, che decideranno come accompagnare nell’abisso i due irresponsabili. Non ho altro da aggiungere, per cui chiedo ai giudici in carica di emettere la sentenza e di provvedere alla designazione di altri due candidati per la carica di giudici del popolo. Essi, ben istruiti da questa esperienza, sapranno valorizzare i profili giusti della vecchiaia, ovvero la saggezza e la moderazione.”
L’assemblea del popolo si scioglie, Susanna viene abbracciata dal marito Ioakìm e da suo padre Chelkìa.
Quando sta per rientrare nelle sue stanze per un meritato riposo, volge un ultimo sguardo ai due vecchioni, provando uno strano sentimento di nostalgia di quegli sguardi sul suo corpo nudo prima di tuffarsi nell’acqua. È una scena fissata nel tempo, e tale probabilmente doveva restare anche per i due vecchioni.

* pag. 40–42

Con il racconto L’uomo che voleva farsi giovane i temi attorno alla vecchiaia diventano stringenti. Osvaldo Soares a settant’anni non accetta la definizione di vecchio e in ogni situazione narrativa rappresenta le sue considerazioni veramente interessanti che ci aiutano a sviluppare l’argomentazione attorno alla vecchiaia.
Nel difendere le sue posizioni richiama numeri e statistiche:

“Sa quanti anziani ci sono oggi nella nostra popolazione italiana? Il ventidue per cento. E nel 2050 tale sarà il rapporto a livello mondiale. Cioè gli anziani raggiungeranno i due miliardi. E allora dobbiamo fare i conti con questa realtà. Noi ormai siamo abituati a vedere il ciclo della vita in tre fasi progressive: la giovinezza, caratterizzata dalla dipendenza economica ed educativa, l’età adulta dell’affermazione professionale, e la terza età della decadenza. Ma quest’ultima, che si dice va dai sessantacinque anni in su, non può più considerarsi secondo la massima del poeta latino Terenzio Senectus ipsa morbus. No, la terza età la si vive anche prima, come capita agli atleti, e non capisco perché non possa capitare anche a me. Siamo in presenza di una vera rivoluzione sociale e antropologica!”

* pag. 53

La vita sessuale nella coppia, quando si diventa vecchi, mostra subito le sue crepe, vuoi per pregiudizi vuoi per insicurezza personale. Così racconta Soares la sua crisi coniugale:

Eppure lui amava sempre con intensità la moglie. Anche a letto durante il loro amplesso si esprimeva in maniera ardita, proprio per dimostrare alla sua donna che nel suo eros la vecchiaia non era presente. Anzi voleva sempre dimostrare che con gli anni le sue erezioni e i suoi orgasmi erano comunque all’altezza della situazione. Lui godeva e sentiva la moglie godere. Ma da un po’ di tempo, quando l’acme del piacere era stato raggiunto, da parte di Caterina iniziava un logoramento della tensione amorosa, fatta di brevi e pungenti osservazioni: “Ma non amavi così una volta. Tardi a raggiungere l’orgasmo, mi fai male con la tua penetrazione, che ti succede? È forse l’età? Allora è vero, quando si invecchia, la prima caduta riguarda proprio il sesso”. Altre volte l’attacco della moglie era ancora più crudele: “Se tu sei vecchio e hai le tue caratteristiche, io sono giovane e voglio la mia soddisfazione sessuale, come succedeva prima. Perché mi devo sobbarcare la tua vecchiaia? Già mi prefiguro, in un futuro spero lontano, la mia vecchiaia. Perché la devo anticipare con la tua? Datti una mossa! Allontana da te questo tempo atroce nella vita di un individuo. Fai qualcosa, non soccombere. Perché non inizi una cura? Esistono anche farmaci e prodotti che aiutano nell’uomo l’attività sessuale!” E quando Osvaldo Soares rispondeva: “Ma io non ho e non ho mai avuto problemi di erezione!” la moglie contrattaccava: “Adesso! Ma vedrai che presto comparirà l’impotenza! Eppure so di molti vecchi che si sono sottoposti a cure specialistiche. E poi, ti ripeto, quando fai l’amore, mi sembri quasi svogliato e stanco. Vedo in te che si sta smorzando l’appetito sessuale. Questo è un malanno della vecchiaia. E tu cosa fai? Nulla! E sai perché? Perché ti illudi che non stia succedendo. E invece sta succedendo eccome! Sei vecchio, lo vuoi capire?”

* pag. 57-58

Osvaldo Soares allora fa la sua analisi, spietata, sulla vecchiaia e avanza le sue proposte per abbatterla.

I tempi moderni vedono nel vecchio non più una ricchezza di saggezza e di esperienza, utile per le giovani generazioni, ma un peso per la società, una spesa sanitaria eccessiva, un ingombro pesante per figli impegnati a organizzare la vita in maniera frenetica. E badanti e residenze per anziani cominciano a essere sempre più inadeguate, e i costi spesso diventano insostenibili per famiglie già in grosse difficoltà economiche quotidiane. Il vecchio, inoltre, viene visto come un potenziale demente, e spesso è accusato di essere un inguaribile egoista, insaziabile di vita e di godimento, come se non avesse già vissuto abbastanza e volesse sempre stare tra i piedi. Solo la novità generazionale è la salvezza della società, non c’è spazio per chi ha già vissuto e non decide di togliersi di mezzo! Ma è proprio per questa nuova condizione della vecchiaia che bisogna darsi da fare e ribaltare ogni pregiudizio. Guardarsi dentro e poi fuori. Prima guardare alla propria mente e al proprio spirito. Poi guardarsi fuori, osservare il proprio corpo. E porsi domande, continue, inesorabili, crudeli, ciniche, e darsi delle risposte credibili, pertinenti, omogenee, efficaci, e sulla base di queste guardare di nuovo al futuro.
Ecco il primo punto, quando si entra nella parabola discendente della vecchiaia: non voltarsi indietro ma proiettarsi nel futuro. La parabola deve tornare a essere ascendente: vivere non di ricordi, ma di prospettive. È questione di mentalità, di spirito, di cuore, di passione emotiva. Riprendere in mano i propri sogni, anche quelli della lontana adolescenza. Lasciarsi incantare dai tramonti e dalla luna, godere dei paesaggi montani o marini. Non dare per scontato niente: non c’è il già visto, perché bisogna tornare a vedere con la stessa curiosità e intensità delle altre volte. Bisogna progettare a lungo raggio, pur vivendo il tempo presente. Va bene il motto carpe diem, ma senza strafare, perché c’è ancora il domani e ancora il dopodomani.
Si deve coltivare una sanità mentale, anche se dietro l’angolo fa capolino un po’ di follia. Non c’è da preoccuparsi. Va bene così. Lo svegliarsi presto non sia un problema, fregandosene della credenza secondo cui i vecchi dormono poco perché hanno paura di perdere del tempo; e appena alzati, si guardi il profilo del proprio corpo davanti allo specchio, come espressione di un momento della propria evoluzione.
Ci si vesta secondo modelli di agilità e scioltezza. Con scarpe colorate e cappelli eclatanti.
Si abbia la barba curata o il pizzetto ben rasato. I capelli siano cortissimi e il collo avvolto da foulard di seta.
Si cammini con la schiena dritta, con un’andatura solerte e lo sguardo proiettato avanti. Sia sempre presente un brillante sorriso su labbra distese. Così torna la giovinezza: perché torna lo spirito. Facciamo tornare anche il fisico! E allora in palestra, se non tutti i giorni, perlomeno con cadenza costante al fine di sciogliere le membra bloccate da ruggine ingombrante. Ci si tuffi con coraggio nella fredda acqua della piscina e si dia spazio al nuoto a stile libero o a farfalla. Poi in sauna si abbandoni il proprio corpo a una estrema sudorazione, senza tralasciare momenti esaltanti nel bagno turco. Non si devono temere confronti con corpi giovanili, né per quanto riguarda le forme muscolari, né le misure degli organi sessuali. Non è la solidità corporea a fare la differenza fra le diverse età.

* pag. 60-62

Purtroppo la società oggi assume fondamentalmente una risposta di tipo sanitario sulla vecchiaia che Osvaldo Soares rifiuta in maniera categorica.

Il dottore è lapidario e forse anche un po’ cinico. Osvaldo Soares si difende come può.
“Ma io sto bene! Non ho nessun tipo di problema.”“Ha portato con sé gli esiti delle ultime analisi?”
“Analisi di che cosa?”
“Come di che cosa? Uno alla sua età deve monitorare l’andamento dei valori glicemici, il colesterolo, l’azotemia, l’emocromocitometrico, la ves, i trigliceridi… Insomma, per dirla volgarmente, si controlla la pressione? Ha fatto un controllo dell’uretra? La prostata a che punto è? Di notte quante volte si sveglia per andare in bagno? Guardi che dopo i sessanta, anzi direi meglio dopo i cinquanta, bisogna tenere sotto osservazione il proprio corpo. Con la vecchiaia non si scherza. Uno crede di stare bene, ma poi improvvisamente un ictus, un infarto, un colpo e via…
Perché vuole morire? Forse è depresso? Mi ha raccontato suo figlio che lei sta assumendo comportamenti strani da quando sua moglie è andata via. Lo sa cosa nasconde un malessere psichico? L’Alzheimer! Vuole essere un vecchio afflitto dall’Alzheimer?”

* pag. 66

Ed è questa la conclusione di Osvaldo Soares sulla vecchiaia:

Oggi non c’è più la terza fase nel ciclo vitale di un individuo: la vecchiaia. In questi tempi moderni, i tempi del 4.0, il tempo ha smesso di essere lineare e successivo, con un prima, un dopo e un presente sfuggente.
Il tempo si mostra a una sola dimensione, non più oggettivo, inquadrabile in categorie comprensive di comuni caratteristiche. Non ci sono scorrimento e successioni suggestive. Ognuno ha il tempo che si ritrova. E la fase che più sfugge è quella relativa alla vecchiaia. In questa società non è concepibile la ricerca di soluzioni per gli anziani. Gli anziani non ci sono più. Non serve stare lì a comprendere cosa sia la terza età. E si grida che sono eccessive le spese sanitarie perché siamo diventati tutti vecchi! Forse invecchiano solo gli altri, ma io sono per la restituzione ai giovani del loro ruolo di protagonisti, ma a condizione che non ci si lasci imprigionare dal mero dato anagrafico. Tutto il tempo della vita è un’eterna giovinezza, che vuol dire eros e piaceri dei sensi, per tutti. Noi non dobbiamo più classificare e ghettizzare. Quando si viene alla vita, siamo tutti uguali. Maschi e femmine, giovani e anziani, italiani e stranieri, belli e brutti, onesti e disonesti, credenti e atei, ricchi e poveri, sapienti e ignoranti, addirittura umani e animali, padri e figli, contadini e artigiani, nonché sani e ammalati. Per questo, cari i miei interlocutori, non vi riconosco come individui diversi da me, soprattutto lei, dottore, nel suo ruolo di geriatra. Io non potrò mai essere suo paziente semplicemente perché io non sono vecchio, e se anche lo fossi, non permetterei di farmi classificare in tale categoria. Addio. E tu, figlio mio, dedica il tuo tempo non a me, ma piuttosto a tua moglie e ai tuoi due figli. Io vado e non provate a fermarmi, altrimenti darò in escandescenza.”

* pag. 67-68

* Le citazioni sono estratte dal romanzo Susanna e i vecchioni di Gaetano Cinque, Giovane Holden Edizioni, 2020.

Piacere. Questo è il mio curriculum!

“Voglio un lavoro ben pagato. Non ho immaginazione, sono asociale, senza fantasia e priva di talento.”

di Marco Palagi

Avete una probabilità su un milione che qualcuno vi contatti per un lavoro se, come una ragazza di Stoccolma ha realmente fatto, pubblicate un annuncio del genere. Sebbene lei sia stata la milionesima, ci sono dei basilari e semplici accorgimenti che potreste adottare quando vi presentate per un colloquio di lavoro, in tempi in cui già ottenere un incontro è un gran privilegio.

  1. L’attesa. Vi trovate nell’atrio dell’azienda in attesa, ci sono sedie, poltrone, riviste e un distributore di caffè. Rimanete in piedi, sebbene vi invitino a mettervi comodi, ponetevi in una posizione che denoti sicurezza (mani congiunte dietro la schiena) e aspettate. Lasciate cappotti o altro che non sia il vostro curriculum o portfolio all’ingresso.
  2. L’entrata. Vi chiamano, il capo o il responsabile risorse umane è pronto per voi. Le grandi aziende spesso hanno anche una persona che rimane sempre in silenzio e valuterà il vostro linguaggio del corpo e l’atteggiamento che avrete in quei brevi minuti di colloquio: tranquilli, non morde. Per questo entrate decisi dentro l’ufficio e dirigetevi verso chi vi aspetta.
  3. La prima impressione e l’approccio. Posate il curriculum e sedetevi. Palmo dritto e stringete la mano con la stessa forza dell’altro. Non parlate mai per più di trenta secondi per volta, non deve essere un vostro monologo e non raccontate la vostra vita. Ogni tanto, soprattutto all’inizio, ripetete il nome del capo tipo: “La ringrazio sig. Rossi dell’opportunità…” oppure “La mia esperienza, sig. Rossi, in questo settore…”
  4. Seduti! La sedia su cui siete seduti sarà sicuramente più bassa di quella dell’interlocutore e non orientabile. Sistematevi a circa 45° rispetto a quest’ultimo spostando il corpo. Evitate di sedervi su divani, dove sprofondereste, o su poltrone in pelle umana come quelle dei film di Fantozzi. Sulla sedia non rimanete sul bordo, dareste l’impressione di volervene andare il prima possibile perché vi sentite a disagio.
  5. I movimenti e i gesti. Non gesticolate in modo eccessivo, se proprio dovete fate movimenti chiari e semplici, che rispecchino ciò di cui state parlando. Come tra innamorati, se necessario e se non siete convinti che possiate piacergli, imitate sempre la gestualità e le espressioni dell’altro come pappagalli, senza esagerare.
  6. A distanza. Dopo la stretta di mano e quindi il contatto e la distanza ravvicinata, allontanatevi. Rispettate lo spazio personale. Se il colloquio lo tiene una donna non gradirà uomini troppo invadenti e si allontanerà, se lo tiene un uomo per lui sarà naturale accostarsi maggiormente alle donne. Meglio comunque lasciare che sia l’interlocutore ad avvicinarsi.
  7. È l’ora di andare. Il colloquio è finito, raccogliete il curriculum o portfolio o quant’altro avete portato con voi, stringete la mano e uscite, sempre con passo svelto e sicuro. Se la porta era chiusa, richiudetela. Per gli uomini: controllate scarpe e vestito quando uscite di casa perché saranno l’ultima cosa che vedranno ed è meglio che siano puliti e stirati; per le donne: è probabile che vi squadrino il sedere, l’uomo per… lo sapete perché e la donna per gelosia o disprezzo quindi, prima di uscire, voltatevi e lasciate che sia il vostro sorriso l’ultima cosa che ricorderanno. E in bocca al lupo!

Mai fatto l’amore con un androide?

Io, robot di Alex Proyas, tratto dal romanzo omonimo di Isaac Asimov

Androidi maschili e femminili. Identici agli esseri umani ma senza difetti. Capaci di muoversi, di parlare e perfino di eccitarsi. È l’ultima frontiera della tecnologia applicata all’eros. Macchine create per dare piacere, da utilizzare in privato – da soli o in compagnia – per sostituire quelli che stanno per diventare giocattoli obsoleti ovvero i vibratori elettrici e le bambole gonfiabili vendute nei sexy shop.
A lanciare l’idea è lo scienziato inglese David Levy fondatore della Intelligent Toys Ltd.
Secondo lui il futuro della robotica passa anche per le sex machine e dipinge uno scenario di androidi in grado di soddisfare le esigenze e le fantasie sessuali di uomini e donne.
“Sono convinto che presto i robot diventeranno partner sessuali per un vastissimo numero di persone,” sostiene. “Per averne un’idea basta vedere come sono diventati popolari i vibratori o le bambole e immaginare quanto più divertente ed eccitante potrebbe essere per una persona possedere un robot che, oltre al resto, è in grado di stringerla tra le braccia, baciarla e magari dirle pure qualche frase romantica o erotica.”
Idea strampalata? A sentire il professor Henrick Christensen, docente di Robotica all’Università di Stoccolma parrebbe di no. Entro cinque, dieci anni al massimo la gente comincerà a fare sesso con i robot e l’esperienza diventerà sempre più appagante via via che si svilupperà l’intelligenza artificiale. Ossia quando le macchine impareranno dalla loro stessa esperienza. Quando saranno quasi indistinguibili dagli esseri umani, anzi più belli e privi di difetti. Con il perfezionamento dell’interattività l’effetto verosimiglianza aumenterà proporzionalmente.
Le persone saranno libere di scegliere le caratteristiche fisiche e l’aspetto del loro partner artificiale, esattamente come ora scegliamo prodotti da un catalogo sul web.
Saranno, probabilmente, le donne a essere le principali beneficiarie della nuova tecnologia, non fosse altro che per una questione di prestazioni e performance. Anche se, in verità, finora gli oggetti in circolazione che più si avvicinano a dei giocattoli erotici di tipo evoluto, sono prevalentemente destinati a un target maschile.
Le conseguenze sociali dell’ipotizzato boom degli androidi erotici sarebbero diverse e tutte ancora da definire. I profeti della robotica sessuale immaginano che il primo effetto sarebbe una drastica riduzione, se non proprio la fine, del mestiere più antico del mondo.
Gli studi di psicologia e sociologia indicano che le persone ricorrono alla prostituzione – maschile e femminile – per molte differenti ragioni, ma quella più comune è il fare sesso senza alcun coinvolgimento emotivo. Sicuramente le macchine saranno in grado di soddisfare questo bisogno.
Prostitute e gigolò sono dunque destinati a diventare una classe di semi disoccupati?
Attualmente ci si può portare a casa un androide per la modica cifra di circa ottomila euro.
È possibile anche affittarli… ma un’indagine ha dimostrato che spesso si instaurano relazioni sentimentali con il proprio androide, da qui la resistenza a cambiare partner artificiale.
Secondo gli esperti, tra gli effetti collaterali delle sex machine ci potrà essere anche la diffusione di quelle che oggi vengono chiamate perversioni: in altri termini, ci saranno persone che sperimenteranno sui robot quel tipo di esperienze che, per pudore o altri motivi, non vogliono fare direttamente con veri esseri umani. La robotica sessuale è o sarà richiesta anche per varcare nuove frontiere.
Per esempio un maschio che decide di regalare alla sua compagna un’esperienza lesbica o magari di provare un ménage à trois con un altro maschio o un’altra femmina, oppure di testare il sesso di gruppo e le gang band con diversi androidi. E sempre senza strascichi sentimentali, senza gelosie e senza paura di portarsi in casa dei rivali.
Il futurologo Ian Pearson profetizza che entro il 2020 l’evoluzione dell’intelligenza artificiale porterà i robot ad avere un inizio di coscienza.
A quel punto si porranno nuove e più delicate questioni, che attraversano campi che vanno dalla psicologia alla roboetica. E un giorno magari il sexy robot, capace di avere gusti propri, potrà perfino darci il due di picche.

Terminator: the Sarah Connor Chronicles. Serie TV 2008/2009

Di che famiglia sei?

Sbandierata come vessillo contro il tramonto degli ideali, baluardo talvolta scricchiolante ma sempre in grado di darci riparo, checché ne dicano i sociologi lei è sempre lì. La famiglia: solo a nominarla ci si allarga il cuore… anche se spesso, un inconsulto brivido da stress ci scuote al solo sentirla nominare. Per noi può essere una sola persona, una ressa caotica di parenti, persino un amico a quattro zampe: ciò che chiamiamo famiglia è quell’irriducibile voglia e necessità di darsi all’altro, perché da soli contro il mondo non ce la possiamo fare.

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Le bugie hanno le gambe corte

Povero Pinocchio! Povero burattino: è l’esempio negativo per tutti i bambini che devono imparare a essere sinceri e ’Sindrome di Pinocchio’ è definita la ’malattia’ che porta anche gli adulti a incatenarsi a una vita così piena di bugie da rendere impossibile la sincerità. Eppure Pinocchio dice poche, pochissime bugie. E solo in due casi il naso gli si allunga. Pinocchio non è, dunque, un bugiardo matricolato; è piuttosto un ragazzino che compie tutte le marachelle prevedibili: disobbedisce, non studia, segue le cattive compagnie e dice anche le bugie. In realtà è molto più grave la colpa di tradire la fiducia di Geppetto, ma non è questo che spaventa le mamme e i papà propensi piuttosto a raccomandare: “Non dire le bugie che ti si allunga il naso come a Pinocchio!” Le bugie, insomma, non vanno dette per evitare la vergogna di essere scoperti. Un’impostazione educativa scorretta che ha portato più di un critico a osservare che ai bambini si proibisce la bugia proprio attraverso una minaccia bugiarda: qualcuno ha mai visto un naso crescere per un motivo che non sia un banale raffreddore?

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Le uniche cose che contano

Audrey con le palpebre ricoperte di brillantini indossa l’abito nero di Come rubare un milione di dollari e vivere felici, 1965

di Marco Palagi

Sono nata a Bruxelles, in Belgio, il 4 maggio 1929… e sono morta sei settimane dopo.
Se dovessi scrivere una biografia, la incomincerei così.

Contrassi una brutta forma di pertosse e il mio piccolo cuoricino si fermò, ma due colpetti sulla schiena da parte di mia madre, Ella, mi rianimarono.
Ho origini olandesi, ungheresi e francesi, insomma se fossi un cane sarei un bastardello.
A cinque anni fui mandata in collegio in Inghilterra, anche e soprattutto perché il rapporto tra i miei genitori non andava molto bene. Ero terrorizzata all’idea di stare lontano da casa.
Inaspettatamente, nel 1935 mio padre, Joseph, ci abbandonò senza dare ad alcuno di noi una spiegazione.
Quello fu l’evento più traumatico della mia vita. Il divorzio dei miei fu il primo grande colpo che ricevetti quando ero bambina… lo adoravo, e mi è mancato terribilmente dal primo istante in cui è sparito. Guardi il volto di tua madre, lo vedi ricoperto di lacrime e ciò ti lascia impietrita. Assistere alla sua agonia fu una delle esperienze più terribili della mia vita. Pianse per giorni, tanto che pensai che non avrebbe mai smesso.

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La mia zona intima…

A chi permettiamo di invadere il nostro spazio personale?
Scopriamo insieme le distanze che ci separano dal prossimo

  • Zona intima, di 15-46 cm
    Vi hanno accesso parenti e amici stretti o chi fa avance sessuali. Attenzione all’invasione da parte di persone aggressive. La zona che difendiamo come se fosse nostra. Entro i 15 cm c’è la zona intima ristretta, solo per i contatti fisici più personali.
  • Zona personale, di 46-122 cm
    La distanza che teniamo rispetto agli altri alle feste, in ufficio, agli aperitivi, agli incontri con gli amici.
  • Zona sociale, di 122-360 cm
    La distanza a cui teniamo gli estranei, dal muratore all’elettricista, dal postino alla commessa del negozio di abbigliamento e comunque da tutte le persone che conosciamo ma non così bene.
  • Zona pubblica, da 360 cm in poi
    Quando siamo in mezzo a un folto gruppo di persone questa è la distanza che teniamo, quindi in presenza di completi estranei.

A quante persone permettete di entrare nella vostra zona intima?
Non siate maliziosi, il Kâma Sûtra non c’entra niente. Anche l’uomo, come gli animali, difende il proprio territorio e i propri spazi personali e ne ha di diversi tipi. Ciascun individuo ha un territorio che lo circonda di sua proprietà e comprende la zona attorno ai suoi beni più o meno preziosi, per esempio la casa, la camera da letto, l’auto, la donna/l’uomo che ama.
L’antropologo americano Hall è stato uno dei primi a studiare la prossemica, una nuova disciplina fondata da lui stesso negli anni Sessanta, e ha classificato quattro zone spaziali, di cui un individuo è consapevole sin dai dodici anni di età. Tenete conto che le distanze indicate si riducono tra due donne e aumentano tra due uomini, questo a dire che i maschietti non amano troppo le persone appiccicose, e cambiano da paese a paese.