Oscar Wilde, un uomo che in fatto di estetica la sapeva lunga, scriveva: Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero… Dunque, bando all’ipocrisia e alle false intenzioni. Di fronte a migliaia di persone e maschere riunite in un’unica grande festa, non possiamo che ottenere un concentrato dirompente di sincerità: il Carnevale. Lo sanno i carristi di Viareggio con i loro mastodontici politici: a Carnevale la sincerità evade dall’ordinaria cortesia del quieto vivere; dove non arrivano i giornali e le chiacchiere da talk-show, quelle sole due settimane banchettano allegramente alla faccia di qualsiasi ordine precostituito. O almeno così era in origine, nei giorni in cui il re era sbeffeggiato dal popolo e i signori riverivano i servi, dato che semel in anno licet insanire: una volta all’anno è lecito impazzire.
Avete riesumato il vostro logoro vestito da strega o da putrescente zombie? Vi siete già messi alla ricerca di una mastodontica zucca? Se siete anche voi dei patiti di lugubri feste d’oltreoceano, non vi farete di certo trovare impreparati per questo Halloween… anche se, ci scommetterei, non conoscete uno dei riti che quella sera dovreste assolutamente praticare. Volete sapere di cosa si tratta? Mmmh… questa è roba da iniziati. Ma se proprio insistete, avvicinate l’orecchio e ascoltate. E non ditelo troppo in giro. Se nella magica notte di Samhain bazzicate le mura silenti di Lucca, raggiungete il duomo e, tra la nebbia dell’autunno che avanza, addentratevi sotto il portico deserto. Sull’ultima colonna alla vostra destra ecco inciso il labirinto e accanto a lui un’iscrizione latina. Senza essere visti, con l’indice iniziate a percorrere la traccia ingarbugliata da destra e in silenzio scandite le parole: Hic quem creticus edit Dedalus est laberintus, hus de quo nullus vadere quivit qui fuit intus, ni Theseus gratis Ariadne stamine iutus. Dopo aver raggiunto il cuore del groviglio e pronunciato la formula, fluite via come ectoplasmi senza voltarvi, adesso immuni da qualsiasi sortilegio che maligne presenze potrebbero tendervi, in quell’oscurità maledetta in cui cielo e inferi si toccano. Ma siamo impazziti? Unire una cattedrale a un’atavica festa pagana… Niente affatto! San Martino non è che il corrispettivo cristiano del celtico Lugos, il dio battagliero del Sole, ritratto spesso a cavallo mentre con una mano brandisce una spada e con l’altra una mezza cotta… proprio come il santo misericordioso che, non dimentichiamolo, è il protettore dei militari e il cui nome significa ’appartenente a Marte’, al dio romano della guerra. E non immaginate quanto daffare si sia data la Chiesa delle origini per sostituire il luminoso nume celtico, particolarmente radicato nella cultura italiana, con il benevolo cavaliere cristiano. Bizzarro? Pensate che persino il nome di Lucca potrebbe condividere la stessa etimologia di Lugos, cioè derivare dall’indoeuropeo *leuk, che vuol dire ’luce’. Ecco che il capodanno celtico, le cui celebrazioni duravano per giorni e giorni fino alla nostra estate di San Martino e che oggi rifiorisce in Halloween, ha lasciato nella cittadina toscana una presenza davvero insolita e tangibile. Una festa tra l’estate e l’inverno, la luce e il buio, la vita e la morte: il punto zero del tempo in cui tutto è possibile, quando l’aldilà può persino tornare a farci visita… E il labirinto? Un momento! Ma… quello di San Martino è composto da un’unica via: per quanto sia tortuosa è impossibile perdersi, si giunge sempre alla fine… Che diavolo di labirinto vi porterebbe al suo centro a colpo sicuro? Ebbene, il simbolo è più complesso di quanto sembri, le verità non possono essere rivelate a buon prezzo: è una sorta di spirale, arcaico tracciato a segnare il percorso del Sole e del tempo, un esorcizzare la morte e un augurio verso una perpetua rinascita nella luce. Anche la didascalia non fa che dircelo: il mito di Teseo e del Minotauro… e come si salva il bellimbusto ateniese? Semplice, col filo di Arianna, il furbo stratagemma suggerito dalla giovane nipote di Helios, il dio greco del Sole. Come dire: dalla morte se ne esce solo con una bella donna e un raggio di sole. E pensare che Halloween sembrava soltanto una pittoresca e un po’ macabra baldoria di paesi lontani, giunta a noi con consumistici gadget a forma di zucche sdentare e scheletri buontemponi. In verità, le sue radici scendono così a fondo nella nostra cultura da rasentare l’oblio. Morale: talvolta, mutare punto di vista può davvero illuminare. Dolcetto o scherzetto? Senza dubbio scherzetto… come quello di chi ci ha nascosto lo specchio per secoli.
Creature del buio. Crudeli, assetate di sangue, immortali perché non sono mai morte veramente, né mai moriranno a meno che, dice la leggenda, non vengano colpite da un proiettile d’argento o al cuore da un paletto appuntito. Di giorno dormono al buio, preferibilmente in bare accuratamente nascoste. Di notte vagano alla ricerca di nutrimento, il sangue rubato a uomini, fanciulle indifese e bambini. Dracula, il vampiro per eccellenza, una leggenda, raccontata dallo scrittore irlandese Bram Stoker che dura tutt’oggi. Tutte invenzioni? Chissà… Dietro la leggenda la storia di Vlad Tepes, personaggio storicamente esistito, principe e condottiero. Ma come ha fatto a trasformarsi in creatura della notte assetata di sangue? Alla fine del XV secolo, nel monastero Kirillo-Bieloserskij, venne ritrovato un manoscritto redatto da un monaco russo che si firmava Efrosin. L’opera contiene aneddoti che vedono come protagonista Vlad III. In uno di questi si racconta come il Principe della Valacchia provasse soddisfazione nel pranzare sotto i cadaveri dei suoi nemici che, impalati in gran numero, circondavano il suo tavolo. Con il termine ’vampiro’ si identifica lo spirito di una persona defunta, una creatura-simbolo delle forze del male che si agitano in una specie di altra vita quando ’la luce del Sole è morta’. Secondo la versione più accreditata il termine vampiro deriva da un manoscritto russo del 1047 in cui compariva la parola Upir Lichyj che è stato tradotto in: ’vampiro malvagio’. Da qui venne coniato il termine che identificava una creatura spietata che si nutriva del sangue o dell’anima delle sue vittime. L’origine del vampiro è antichissima, si perde nella notte dei tempi. Il più antico testo su questa creatura si legge in una tavoletta babilonese conservata al British Museum: una formula magica che serve a proteggere dai Demoni Notturni succhiatori di sangue, gli Etimmé. Ma è tra il Seicento e il Settecento che, narra la leggenda, nei Balcani inizia una sorta di epidemia vampiresca: gente dei villaggi che morde i propri simili, ha un comportamento sempre aggressivo, vaga nella notte perché soffre di insonnia; è ipersensibile agli odori, per esempio a quello dell’aglio… Secondo la scienza questi racconti sono da mettere in relazione con alcune cronache del tempo che parlano di un’epidemia di rabbia che aveva colpito cani, lupi e altri animali selvatici. La medicina ha dunque trovato una spiegazione? I primi vampiri sarebbero stati azzannati da un animale selvatico per esempio un lupo o un pipistrello, guarda caso da sempre identificati con Dracula? Si racconta di corpi riesumati e trovati perfettamente conservati con il sangue e la schiuma alla bocca. Uno dei motivi naturali che spiegano la conservazione dei corpi potrebbe semplicemente essere la bassa temperatura del luogo in cui sono conservati i cadaveri, mentre la schiuma e il sangue alla bocca diventano più comprensibili se si pensa al decorso della rabbia. Malattia virale trasmessa dagli animali che colpisce il sistema limbico, la zona del nostro cervello che gioca un ruolo fondamentale nel controllo delle emozioni e del comportamento. Un’altra interessante teoria sostiene che il vampiro soffre di porfiria, malattia che colpisce i globuli rossi che gli darebbe il caratteristico colorito pallidissimo. Inoltre i soggetti affetti sono impossibilitati a esposizioni solari. Le leggende si possono uccidere con le spiegazioni scientifiche?
A Natale è il momento di stare insieme, di riunirsi intorno a una tavola per celebrare i fasti, anche gastronomici, delle feste. Di trarre il meglio dalla nostra fantasia e dalla nostra capacità per creare quell’atmosfera così speciale. E il tempo in più dei giorni di vacanza ci permette ancora una volta di preparare i piatti della tradizione, quelli più elaborati, e gli addobbi più belli. Ma al di là dell’albero, dei melograni che portano abbondanza, delle candele rosse, delle stoviglie preziose e del vischio, non dimentichiamo qualche piccola sorpresa: in tavola e nelle decorazioni. Così il momento magico, quello dell’apertura dei regali sarà ancora più magico. Per le decorazioni si possono mettere insieme frutta e fiori di stagione: mele rosso-verdi e vischio, bacche rose e candide rose di Natale, grappoli d’uva bianca e tulipani rossi, rametti di pino e melograni, ciclamini bianchi e mandarini… Distribuite qua e là rami di pino oppure, se li trovate, di profumatissimi calicanthus. I bicchieri sceglieteli decorati: bordati d’oro, incisi, con stelo importante…
Tutto nasce cento secoli fa, quasi fosse una favola, quando gli uomini smisero di fare la vita nomade e si trasformarono in agricoltori. Coltivare la terra significò disporre di più cibo del necessario. Accadeva allora che all’inizio dell’inverno, cioè verso la fine di dicembre, il lavoro nei campi doveva essere interrotto. Divenne, così, tradizione organizzare una grande festa, tra canti e balli, dove ciascuno offriva cibo e bevande che aveva messo da parte. Gli antichi Persiani celebravano Mitra, il dio della luce; i Germani Odino, che galoppava su un cavallo a otto zampe; i Romani festeggiavano i Saturnalia, periodo in cui non far regali portava male e gli schiavi prendevano il posto dei padroni.