“La prima volta che dormi in macchina nel centro della città, ti senti una totale fallita o un senzatetto… ma è questo il bello delle persone: si abituano a tutto.”
“Nomadland” di Jessica Bruder. Edizioni Clichy
Saggistica straniera
“Antropologia del turchese” di Ellen Meloy
“Il rap spiegato ai bianchi”: come far apprezzare il rap a chi non ascolta il rap
a cura di Marco Palagi
Partiamo dalla premessa che leggere David Foster Wallace è sempre affascinante e stimolante. Il libro si apre con una lunga introduzione del collega Mark Costello col quale nel 1989 Wallace ha scritto questo saggio sul rap. In questo testo ci viene fornita una visione della vita dei due mentre erano intenti nella stesura del libro.
L’altra premessa è che conosco la storia della musica rap, da dove nasce, cosa rappresenta culturalmente e socialmente, gli artisti che la interpretano tanto quanto conosco a memoria tutte le canzoni di Pappalardo.
“Il rap spiegato ai bianchi” racchiude molte osservazioni sul genere offerte con una maestria linguistica (Wallace) che ti farebbe apprezzare l’ascolto anche della musica gregoriana sacra antica medioevale mistica mentre stai correndo per le strade del paese per tenere fede alla tua promessa di fare attività fisica almeno una volta a settimana. Costello, invece, interviene con piglio meno aulico, quasi da reportage, sui campionamenti e sulla necessità e lo scopo del rap e dell’hip-pop.
Un lavoro ibrido che cerca (e riesce) di fare una critica musicale e un’analisi culturale degli anni post Reagan, ma che non nasconde la passione di questi due roommate per il genere che ha reso famosi Public Enemy, Ice-T, LL Cool J, Ice Cube e molti altri.
“Io, Lei, Manhattan”: un libro perfetto per un appassionato d’arte
a cura di Marco Palagi
Un soliloquio dell’autore sull’arte. Per un centinaio di pagine è monologo pregno di nomi di artisti dei quali manco conosci il nome e non sai se cercarli su Google o saltarli a piè pari e aspettare che prima o poi arrivi qualche pagina di reale narrazione.
Va preso atto che è una via di mezzo tra un memoir e un saggio. Non bisogna lasciarsi ingannare dal titolo. Non è un romanzo. È un libro perfetto per un appassionato d’arte.
La “lei” del titolo, la “lei” della copertina inganna il lettore che si aspetta semplicemente una donna, un’amante del narratore. Ma la “lei” non è Martha, la compagna di vita di Adam Gopnik, ma l’Arte in tutte le sue forme. Anche se sono certo che l’autore intendesse riferirsi a sua moglie.
Manhattan è fuori dalla finestra, è la vetrina spalancata sull’arte, è il quarto personaggio (se consideriamo anche Martha) che si manifesta in tutta la sua bellezza anni ’80.
Un libro faticoso, quando si perde a filosofeggiare sull’arte, ma per chi ama New York e la conosce e l’ha vissuta anche solo un pochino, ti fa venire solo voglia di cercare una stanza di nove metri quadri sull’Ottantasettesima Est.
“The White Album”: Joan Didion indaga e scruta nei meandri più nascosti della cultura, degli idoli, della vita di tutti i giorni
a cura di Marco Palagi
Aspettavo di leggere questo libro da tempo, dopo averlo letto in versione originale qualche anno fa, perché appassionato e curioso di (ri)leggere della California e di quell’America degli anni ’60 e ’70 che tanto amo e dalla quale provengono alcuni dei più grandi narratori del ventesimo secolo.
Il Saggiatore finalmente fa uscire la versione italiana di questo reportage giornalistico della celebre Joan Didion, la quale indaga e scruta nei meandri più nascosti della cultura, degli idoli, della vita di tutti i giorni di un’America nel pieno di grandi cambiamenti. Si parla di pittura, grazie a Georgia O’Keeffe, di politica e di organizzazioni criminali afroamericane, come quella delle Black Panther, Le Pantere Nere, di acqua, dove va l’acqua del suo rubinetto, quanta acqua la diga di Hoover e gli acquedotti Californiani riescono a movimentare ogni giorno per accogliere le richieste della massa… È un bel viaggio, quello della Didion, lungo le strade americane alla ricerca di quelle verità che l’autrice ha rincorso per tutta la vita, fin da quando da bambina si faceva la strada a piedi verso la scuola per ammirare, affascinata, le serre di fiori desiderando ardentemente di entrare dentro una di esse. Si parla di centri commerciali, di tournee letterarie e di “Giorni sereni a Malibu” o alle Hawaii.
“The White Album”, nella sua versione originale, è stato pubblicato nel 1979 e la maggior parte del materiale presente all’interno del libro appartiene agli anni ’70, ma nonostante ciò troviamo ottimi pezzi dell’ultima parte, importante, degli anni ’60, come quello nel quale parla di bike movies oppure dei terribili mal di testa che la affliggono dall’età di otto anni.
Lo stile di Didion è molto forte in questo volume, ricco di profonde e dettagliate osservazioni, scritto con cura, personale senza essere confessionale, ma nello stesso tempo professionale. In molti non digeriscono i saggi della Didion, ma questo libro permetterebbe ai più scettivi e ostili, verso la sua scrittura, a ricredersi e affidarsi alle coste Californiane.