Recensione “Underworld” di Don Delillo

Traduzione di Delfina Vezzoli
Einaudi

Con Underworld non ho avuto un rapporto immediato. È uno di quei libri che non ti viene incontro: devi essere tu ad avvicinarti, con calma, accettando anche la fatica.
Leggendolo ho avuto spesso la sensazione di muovermi dentro una massa enorme, fatta di memoria, storia, ossessioni, frammenti che si richiamano senza mai chiudersi davvero.
Non è una lettura rassicurante né lineare, ma più andavo avanti più capivo che era giusto così. Underworld ti costringe a rallentare, a restare dentro le cose, a guardare ciò che normalmente preferiamo ignorare.
Quando l’ho finito non ho pensato “che bel romanzo”, ma “che esperienza”. Ed è una differenza che, per me, conta molto.

Si mette alla finestra a guardare la strada sottostante. A scuola gli dicono sempre di smetterla di guardare fuori dalla finestra. Questo o quell’insegnante. La risposta non è là fuori, gli dicono. E lui vorrebbe sempre rispondere che invece è proprio là, che sta la risposta. C’è chi guarda fuori dalla finestra e c’è chi si mangia i libri.

a cura di Marco Palagi