a cura di Marco Palagi
Partiamo dalla premessa che leggere David Foster Wallace è sempre affascinante e stimolante. Il libro si apre con una lunga introduzione del collega Mark Costello col quale nel 1989 Wallace ha scritto questo saggio sul rap. In questo testo ci viene fornita una visione della vita dei due mentre erano intenti nella stesura del libro.
L’altra premessa è che conosco la storia della musica rap, da dove nasce, cosa rappresenta culturalmente e socialmente, gli artisti che la interpretano tanto quanto conosco a memoria tutte le canzoni di Pappalardo.
“Il rap spiegato ai bianchi” racchiude molte osservazioni sul genere offerte con una maestria linguistica (Wallace) che ti farebbe apprezzare l’ascolto anche della musica gregoriana sacra antica medioevale mistica mentre stai correndo per le strade del paese per tenere fede alla tua promessa di fare attività fisica almeno una volta a settimana. Costello, invece, interviene con piglio meno aulico, quasi da reportage, sui campionamenti e sulla necessità e lo scopo del rap e dell’hip-pop.
Un lavoro ibrido che cerca (e riesce) di fare una critica musicale e un’analisi culturale degli anni post Reagan, ma che non nasconde la passione di questi due roommate per il genere che ha reso famosi Public Enemy, Ice-T, LL Cool J, Ice Cube e molti altri.