
Dopo il frastuono delle inutili polemiche e quel poco di commosso silenzio che ogni partenza impone, ci piace ricordare una delle opere più brillanti di Mario Monicelli, quella che lui stesso ha dichiarato di amare di più, una metafora universale e dunque capace di rivelarci qualcosa ancora oggi, dopo più di trent’anni dalla sua creazione.
E allora aspettiamo l’arrivo del trotto sgangherato di Brancaleone da Norcia, e del suo manipolo di sbandati in cerca di fama, soldo e donzelle. Ma soprattutto della sua favella singolare, quell’impasto di latino e italiano a reinventarsi un Medioevo allo sbaraglio, ma anche un’altra dimensione, una prospettiva in cui la vita è un congegno imprevedibile e incomunicabile contro il quale sbattiamo di continuo il muso, esseri tragicomici lanciati all’assalto del mondo.
La mancanza di futuro verso l’anno Mille come la crisi odierna, una vulgata post-latina ricordo di studi universitari per descrivere un progresso che non c’è, per opporsi al caos – anche cinematografico – e riportarlo alla dignità del silenzio, del muto: “Inoltre era preoccupato per la lingua,” confessò il regista a proposito del produttore Cecchi Gori, “temeva che nessuno l’avrebbe capita, che sarebbe stato come fare un film muto. Viceversa questo non ci impensieriva affatto, anzi eravamo convinti, e io lo sono sempre di più, che il vero cinema sia muto e in bianco e nero e che dal 1928, quando è stata introdotta la colonna sonora, sia cominciata la corruzione del cinema. L’impiego di questo tipo di linguaggio, in fondo, dimostrava proprio la nostra ricerca, la nostra tensione a fare un film muto. Il linguaggio in Brancaleone è importante per l’immagine del Medioevo ma non serve ai fini della comprensione della storia”.
Forse perché non c’è vera comprensione, non c’è morale o direzione, e la loquela di Brancaleone non è poi così distante dal gergo malavitoso de I soliti ignoti. Del resto, per scassinare un forziere, correre a salvare una vergine o imbarcarsi per la Terra Santa, occorre solo la stessa dose di incoscienza e comica disperazione che muove all’unisono destini di personaggi e uomini, che si tratti di maschere ignare o illusi sovrani di se stessi.
Un lungo abbraccio a un maestro, a una brillante stella polare salita un poco più su del cielo di cartapesta dell’oggi.
