
Povero Pinocchio! Povero burattino: è l’esempio negativo per tutti i bambini che devono imparare a essere sinceri e ’Sindrome di Pinocchio’ è definita la ’malattia’ che porta anche gli adulti a incatenarsi a una vita così piena di bugie da rendere impossibile la sincerità. Eppure Pinocchio dice poche, pochissime bugie. E solo in due casi il naso gli si allunga. Pinocchio non è, dunque, un bugiardo matricolato; è piuttosto un ragazzino che compie tutte le marachelle prevedibili: disobbedisce, non studia, segue le cattive compagnie e dice anche le bugie. In realtà è molto più grave la colpa di tradire la fiducia di Geppetto, ma non è questo che spaventa le mamme e i papà propensi piuttosto a raccomandare: “Non dire le bugie che ti si allunga il naso come a Pinocchio!” Le bugie, insomma, non vanno dette per evitare la vergogna di essere scoperti. Un’impostazione educativa scorretta che ha portato più di un critico a osservare che ai bambini si proibisce la bugia proprio attraverso una minaccia bugiarda: qualcuno ha mai visto un naso crescere per un motivo che non sia un banale raffreddore?
Altre sono le ragioni che hanno indotto nel corso della storia alla proibizione della bugia. L’ottavo comandamento ammoniva il popolo giudaico: “Non deporrai falsa testimonianza contro il tuo prossimo”. Da notare che il comandamento non impone di ’dire la verità’ ma ’di non rendere falsa testimonianza’ a sfavore di altri. La menzogna è un atto sociale e Dio non chiede di conoscere il vero, ma di non perpetrare quell’atto di violenza che è l’inganno.
Secoli dopo, nel 395 d.C., Sant’Agostino arriverà a definire la menzogna in un modo che ancora oggi può apparire soddisfacente: “Mente chi pensa una cosa e afferma con le parole o con qualunque mezzo di espressione qualcosa di diverso”. La menzogna dipende quindi dall’intenzione dell’animo e non dalla verità o falsità delle cose dette. Insomma, conta la buona fede. Ma attenzione, perché secondo Sant’Agostino non si deve mai mentire. Neanche per salvare una vita, perché la salvezza dell’anima vale più di quella del corpo. Comunque le bugie non sono tutte uguali tanto che il vescovo di Ippona ne propone una classificazione: al primo posto c’è la menzogna usata per convertire qualcuno; poi quella per fare del male; poi quella per godere dell’inganno. Un po’ meno grave è dire bugie per fare un piacere a qualcuno nuocendo ad altri e ancor meno per fare un piacere senza nuocere a nessuno. Infine ci sono la menzogna per ravvivare la conversazione; quella per salvare una vita; quella per evitare a qualcuno di subire un oltraggio al pudore. Da Sant’Agostino apprendiamo dunque che la menzogna non dipende dalla falsità o verità di ciò che viene detto, ma dall’intenzione di colui che parla. E insieme veniamo ammoniti: i buoni non mentono mai. Proprio mai? Agostino conclude citando la seconda lettera di San Paolo ai Corinti: “E per queste cose chi è pronto?” Come dire: non si deve mai mentire, ma in fondo, chi ne è capace?

Come si costruisce una buona menzogna? Il segreto sta nel mescolare sapientemente cose false e cose vere, fatti verosimili, o accertati, per sostenere tesi senza fondamento o decisamente tendenziose. Il trucco è che la forza delle immagini evocate e la veridicità degli eventi citati continuano a coinvolgere chi ascolta la menzogna. E costui si lascia trascinare dalle emozioni fino a credere vero l’incredibile. Anzi, no, il poco credibile, perché proprio questa è la funzione della mescolanza di fatti accaduti con ipotesi e bugie. La realtà spiazza, è imprevedibile, non è reversibile. Il falso, invece, può essere reso naturale, ovvio.
E che dire, poi, della menzogna a fin di bene? La gamma è vastissima, dall’esistenza di Babbo Natale alla possibilità di guarigione di un malato terminale, dalla nascosta sostituzione di un vetro rotto da una pallonata alla proclamazione dell’innocenza del proprio cliente. Avvocati, medici, giornalisti, genitori, amanti, come si devono regolare? Vale il monito di Agostino, per cui la verità ha priorità anche sulla morte per crepacuore di un anziano cui si comunicasse il decesso del figlio? O valgono le iperboli delle campagne pubblicitarie, che regalano l’illusione di cancellare le rughe, perdere chili e timidezza a chi forse non cerca altro che avere, appunto, ancora un’illusione?