In estasi: il fascino del rapimento

L’estasi di Santa Teresa di Gianlorenzo Bernini.

Un sovraccarico di stimoli e la mente si perde. O si trova per la prima volta. Difficile descrivere quello che accade durante un’estasi. Anche perché – in quel momento – la realtà esterna, e quindi anche il linguaggio per descriverla, non esiste più. La mente opera in modo diverso, perde i propri confini. La vera estasi è riconoscibile da tre sintomi. Il primo è l’abolizione completa dei sensi: chi la prova è come isolato dal mondo e non ha alcun tipo di esperienza sensoriale. Non ha neppure reazioni riflesse: non reagisce al dolore, né a una luce potente diretta negli occhi, a forti rumori o a sgradevoli stimoli gustativi od olfattivi.
Accanto all’abolizione dei sensi, si può riscontrare anche la presenza di rigidità muscolare, sintomo che portò gli psichiatri dell’Ospedale parigino della Salpetrière, a inserire l’estasi nel catalogo delle isterie. Il terzo sintomo è la coscienza trascendente. Lo stato estatico si avvicina al dharmakaya descritto dai buddisti: il vuoto assoluto che contiene potenzialmente tutte le forme, un senso di fusione con l’Assoluto.

Per distinguere l’estasi da una simulazione o da un caso di isteria è necessario un attento esame psicofisiologico. Lo studio dell’attività elettrica della pelle permette per esempio di documentare il completo distacco dalla realtà. Anche i fenomeni isterici possono arrivare a un’anestesia parziale, ma non totale. Sulla netta distinzione tra estasi e nevrosi isterica non tutti gli esperti sono però concordi. Molte delle mistiche religiose quali ad esempio Santa Teresa o Santa Caterina hanno tratti patologici. Esaminando caso per caso, si scopre che, sottoposte a situazioni di stress estremo, queste persone imponevano a se stesse condizioni di isolamento o di digiuno forzato. Alcune di loro erano chiaramente anoressiche. Tutte situazioni che erano alla base della nevrosi isterica. La differenza tra le visioni dovute all’isteria e quelle dovute all’estasi mistica la decide il contesto culturale: se la persona si aspetta la visione del divino, vedrà il divino; se non si aspetta nulla, non vedrà nulla.
Ma come si arriva all’estasi? Non certo attraverso la meditazione. Anzi, la meditazione sarebbe addirittura una condizione opposta a quella estatica.
Facendo un parallelismo tra cervello e computer lo psichiatra americano Roland Fischer sostiene che gli stati di coscienza dipendono dall’equilibrio tra input e velocità di elaborazione.

Con l’aumento delle informazioni aumenta la velocità del processore, finché si rende necessario un cambiamento del sistema operativo. Si passa cioè progressivamente da una coscienza di veglia (che corrisponde a un equilibrio ottimale tra le informazioni che il cervello riceve e quelle che elabora), alla creatività, all’ansia, alla dissociazione, alla catatonia (il sistema si blocca) e infine all’estasi. La dissociazione è lo stato di massimo lavoro: il cervello ’si stacca’ dal mondo esterno (non riceve più dati sensoriali dall’esterno) e analizza se stesso. “Contempla i suoi stessi programmi,” dice Fischer.
Diminuendo, invece, la velocità di elaborazione si arriva alla mediazione.
Lo stato di estasi presuppone quindi un sovraccarico che può derivare tanto da stimoli esterni (la danza, l’esperienza erotica) quanto da stimoli interiori (l’estasi mistica) o da una combinazione dei due (estasi estetica). Anche i sintomi fisici che la accompagnano sono molto variabili. Padre Pio cadeva in preda a ’febbri’ che raggiungevano 42 e anche 43 gradi centigradi. Al contrario Santa Teresa D’Avila parlava di una sensazione di ’gelo glaciale’. E Gemma Galgani, stigmatizzata vissuta a Lucca alla fine dell’Ottocento e santificata nel 1940, descrisse le sue 141 estasi, di cui tenne cronache meticolose, con un linguaggio che si avvicina molto a quello erotico.

La pietà di Michelangelo

Anche l’estasi estetica è stata, come quella mistica, accumunata alla malattia. Una malattia, però, tale da meritare un nome tutto suo: Sindrome di Stendhal. Ma è davvero possibile cadere in uno stato confusionale (o estatico) guardando un quadro? Assolutamente sì. La dottoressa Magherini racconta che quando dirigeva il reparto psichiatrico dell’Ospedale fiorentino di Santa Maria Nuova si era imbattuta spesso in turisti che, partiti in salute, lamentavano attacchi di panico, stati confusionali, inspiegabili depressioni o euforie. In tutti i casi (oltre un centinaio in dieci anni) questi disturbi avevano breve durata e scomparivano completamente. Ben presto la psichiatra capì che il malessere insorgeva dopo la visione di opere d’arte e coniò il termine ’Sindrome di Stendhal’, ricordando le sensazioni descritte dallo scrittore durante una visita alla Cattedrale di Santa Croce in alcune pagine del suo Diario. La mente può essere cioè sopraffatta dall’arte e dalle emozioni che essa provoca. Accade in particolare con Michelangelo e Caravaggio. ’Stranamente’ una delle opere più a rischio di quest’ultimo artista sarebbe il Narciso: un giovane che contempla, in estasi, la propria stessa bellezza.

Narciso di Caravaggio

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